lunedì 15 giugno 2020

I giornalisti che non ci sono più...

Oggi la comunicazione si svolge in una forma che più orizzontale non si può, nel senso che tutti partecipano allo sviluppo e alla diffusione di notizie e commenti al di fuori di qualunque norma e senza alcuna premura di attenersi alle regole di base della professione giornalistica che sono di ordine deontologico oltre che tecnico.  L’avvento e l’esplosione dei social ha comportato un effetto unico nel suo genere: quello di mettere in “fuori gioco” le professioni legate al mondo dell’informazione scritta e per immagini con la conseguenza di estromettere dalla filiera mediatica quello che era stato il mediatore tra le parti: quella emittente la notizia e quella ricevente, secondo il classico e ormai superato modello verticale per il quale le notizie “piovevano” sull’opinione pubblica che, attraverso i media, le riceveva senza alcuna possibilità di reazione e interazione. Ovviamente non si vagheggia tale modello, ma occorre valutarne l’evoluzione per comprendere la crisi di oggi!
 
E’ venuta a realizzarsi una forma di comunicazione anarchica e oltremodo aggressiva, ma spacciata per espressione del libero pensiero tutelato dalla Costituzione.
Nessun’altra professione ha subito una tale violenza e privazione di senso e di valore come quella giornalistica, circostanza per la quale tutti comunicano e informano alimentando una giostra perversa di irresponsabilità capace di generare fake news da cui è praticamente impossibile difendersi.
Un’altra conseguenza di questo fenomeno è la personale manipolazione di fatti e opinioni che vengono rilanciate sulla rete senza alcuna possibilità di verifica e di smentita in quanto la loro moltiplicazione è esponenziale e quindi non più gestibile secondo i canoni cui pure si richiama la legge in materia di verifica delle fonti, di rispetto della privacy, della continenza stessa di ciò che arbitrariamente viene eretto a rango di notizia non già da addetti ai lavori, ma dal singolo individuo che si ritiene facultato a svolgere opera divulgativa.

Le degenerazioni insite in questo processo difficilmente contenibile sono tante, troppe e soprattutto pericolose in quanto un’informazione senza formazione e senza regole attenta pericolosamente a un bene primario di qualunque democrazia: la conoscenza e la capacità di critica, entrambi diritti inalienabili dell’individuo e delle comunità.
Questa “degenerazione comunicativa” ha dato la stura al mondo giornalistico di abdicare alla propria funzione per trasformarsi, sotto mentite spoglie, in braccio armato della politica, delle imprese, degli interessi economico-finanziari, di quelli giudiziari e mafiosi che proprio attraverso l’informazione e la comunicazione gestita da addetti ai lavori riescono a contaminare la società condizionandone la naturale reattività attraverso un’azione di costante cloroformizzazione delle coscienze con l’unico obiettivo di conseguire i propri interessi e sviluppare i propri business.

Nascono così le cosiddette “bestie” che sono eserciti di comunicatori professionali in grado di manipolare la rete e, attraverso di essa e i propri referenti insediati nel sistema mediatico tradizionale (stampa, tv, radio) proporre una realtà politica, socio-culturale, economico-finanziaria a misura degli interessi di lobby e sodalizi di varia natura.
Il risultato l’abbiamo sotto gli occhi e nessuno riesce più a sottrarsi a questo gioco perverso dove ci siamo ingabbiati con l’illusione di essere partecipi del governo glocal di cui, in realtà, siamo del tutto estromessi in virtù delle forme di partecipazione diretta alla vita pubblica che sono sempre più esclusive e prerogative di elite!
 
L’esclusione dall’esercizio di un ruolo attivo nei processi democratici diventa in effetti un’autoesclusione. Con essa viene meno anche quella classe intellettuale che ha sempre rappresentato la garanzia di contrapposizioni una volta ideologiche, oggi più pragmatiche, ma pur sempre libere nella forma e nella sostanza delle idee e dei confronti.
I giornalisti una volta erano, per formazione e professione, espressione di questa classe che si è trasformata in un ceto minaccioso per sè e per gli altri.
Eppure non ce n’è ancora diffusa consapevolezza tra gli addetti ai lavori e nella residua opinione pubblica italiana.

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